Capitolo sesto

Considerazioni sociologiche

I. INFLUENZE CULTURALI SPECIFICHE

Il problema dello sviluppo della personalità deve tener conto dell'ambiente sociale. Lo sviluppo della personalità è determinato da due serie di fattori: il corredo ereditario, e l'influsso dell'ambiente sulla formazione dell'individuo. Quest'ultimo può essere suddiviso, così all'ingrosso, nell'influenza che ha il primo ambiente del fanciullo — la famiglia — e in quella esercitata dall'ambiente sociale. Ciascuna famiglia ha le proprie caratteristiche individuali e deve essere considerata come un piccolo mondo a sé. È inutile parlare dell'influenza che la madre può esercitare su un bambino, se non si esamina il suo atteggiamento verso il marito e verso gli altri figli. Questi fatti mettono in luce una complessa correlazione emotiva tra tutti i membri della famiglia. Lo scarso affetto della madre verso un figlio, può essere più dannoso se ad esso corrisponde un eguale atteggiamento paterno; o meno, se viene compensato dall'affetto e dalle premure del padre. Le caratteristiche di ciascuna famiglia hanno senza alcun dubbio un'influenza decisiva sullo sviluppo del fanciullo.

Inoltre, esistono attitudini familiari tipiche di differenti culture e determinate dalla struttura sociale. La mentalità di una tipica famiglia tedesca o giapponese è del tutto diversa da quella di una famiglia americana. Le attitudini dei genitori, i princìpi educativi e gli ideali, sono peculiari di ciascuna cultura. Da queste caratteristiche comuni nascono le qualità nazionali. Noi parliamo di una mentalità occidentale in contrasto con la mentalità orientale. Eccettuati i fautori fanatici della teoria razziale, moltissima gente crede nell'influenza dell'ambiente culturale sulla formazione della personalità. L'analisi scientifica del significato che hanno i fattori costituzionali e ambientali sulla formazione della personalità, deve ancora essere approfondita.

Lo studio psicoanalitico dei casi individuali ci ha colpito per l'influsso che hanno le esperienze emotive dell'infanzia sullo sviluppo della personalità. Il principale contributo portato dalla psicoanalisi ha dimostrato l'influenza formativa delle prime esperienze emotive, nate dai rapporti familiari, sui perturbamenti della mente e del carattere. È importante mettere in rilievo che la varietà degli influssi emotivi nella prima vita familiare non è grande, ma nasce da pochi schemi emotivi fondamentali e universali. La sottomissione del bambino alla madre è forse il fattore più importante, e suscita nel bimbo un senso di possesso verso la madre con relative conseguenze di gelosie, ostilità e timori per i rivali, fratelli o adulti che siano. In contrasto con tutto ciò, stanno le tendenze, sempre più forti, che nascono dai primi desideri sessuali e dalla curiosità; e che portano a ogni sorta di identificazione con gli adulti. Lo studio psicoanalitico di questi rapporti emotivi è stato così fruttuoso che per un certo tempo gli affetti hanno soverchiato le differenze costituzionali esistenti tra i bambini: differenze alle quali senza dubbio si debbono attribuire alcune delle diversità esistenti tra gli individui. Non c'è ragione di dubitare che razze e individui diversi come corredo ereditario, differiscano tra loro quanto un cavallo arabo è diverso da un Mecklemburghese, e un cane da cerca da un San Bernardo e da un cane da caccia.

Lo spirito di parte fu anche troppo pronto a spiegare le differenze nazionali su una base razziale. Si sente parlare del latino pieno di temperamento, del greco o dell'ebreo commerciante, e dello scozzese economo. Freud ha parlato delle qualità erotico-anali dello svizzero. Ma queste sono veramente caratteristiche razziali dovute all'ereditarietà? Contrariamente a quanto avviene per gli animali, la cultura viene trasmessa tra gli uomini attraverso tradizioni, costumi, ideologie e istituzioni; e ad esse perciò bisogna prestare una particolare attenzione. Gli svizzeri sono economi, puliti e ordinati perché hanno ereditato questi tratti dagli antenati svizzeri o perché le loro condizioni culturali e le tradizioni incoraggiano tali abitudini? Anche senza un accurato esame scientifico, si è inclini ad attribuire una potente influenza ai fattori culturali. Caratteri comuni della personalità si trovano tra gente che appartiene allo stesso gruppo culturale, indipendentemente dalla razza. Noi possiamo parlare giustamente delle caratteristiche del contadino, che non sono quelle del commerciante, qualunque sia la razza a cui essi appartengono. Il kulak russo, il contadino ungherese e francese e l'agricoltore americano hanno una straordinaria quantità di caratteristiche in comune. Il nostro paese è un esempio vivente della potenza del fattore culturale. Gli immigrati si americanizzano rapidamente, e il processo di solito è completo nella seconda e nella terza generazione. Soltanto coloro che vivono in gruppi razziali isolati possono conservare molte delle loro abitudini e ideologie originarie.

La questione di quanto profondamente la cultura influisca sulla formazione della personalità, è ancora aperta. Le differenze psicologiche tra gli uomini sono dovute in primo luogo alla diversa distribuzione dei «geni» nelle cellule dei genitori, alle prime esperienze emotive specifiche nella famiglia, o a influenze culturali diverse? È ovvio che i fattori culturali da soli non possono spiegare la grande varietà di personalità che emerge dallo stesso gruppo; ma possono essere responsabili solo di caratteri comuni a tutti i membri del gruppo. Le differenze individuali più sottili debbono considerarsi dovute alla costituzione e ai primi influssi familiari.

L'analisi scientifica di questo problema porta a una distinzione di diverse categorie di caratteristiche. Dovremo far differenza tra i caratteri comuni a tutti i membri dello stesso gruppo culturale (per esempio, contadini o soldati); e poi tra i caratteri comuni a tutti gli individui in possesso di un'eredità comune — per esempio, tutti i finnici —, si tratti di contadini o di professori di università. Le caratteristiche più sottili sono altamente individuali e distinguono l'uno dall'altro i membri del medesimo gruppo culturale o razziale. Alcuni di questi tratti personali possono considerarsi meno mutevoli e più fondamentali che non altri, più superficiali e variabili. Le caratteristiche trasmesse per via ereditaria sono fondamentali e sono anche le meno mutevoli. È più difficile stimare quanto profondamente la struttura di una famiglia o i caratteri generali culturali agiscano su un individuo. Poiché l'uso determina una cosa così importante quale è il metodo di allevamento, esso non può essere considerato meno importante dell'influsso che ha sulla vita di una famiglia una situazione coniugale neurotica. Considerazioni simili illustrano la complessità del problema e la difficoltà di isolare gli influssi* culturali sulla formazione della personalità, da esperienze dovute a situazioni particolari esistenti in seno alla famiglia.

La personalità è, tutto sommato, il risultato sia dell'ereditarietà, sia della specifica costellazione familiare e dell'ambiente culturale. Sinora non è stato ancora sviluppato alcun metodo scientifico per determinare il relativo significato di questi diversi fattori. Non sarebbe nemmeno conclusivo l'esperimento di allevare gemelli identici in ambienti culturali diversi e confrontare poi i risultati; perché, pur rimanendo il fattore ereditario costante, tuttavia le strutture delle famiglie nelle quali verrebbero allevati i gemelli, non potrebbero essere esattamente identiche. Anche se l'esperimento fosse condotto in un ambiente artificialmente uniforme, sarebbe impossibile riprodurre in maniera identica le influenze che hanno sul bambino le persone in contatto con lui. Alcuni psicologi e sociologi accademici potrebbero considerare conclusivo un simile esperimento; ma non così avviene allo psicoanalista, giacché egli conosce troppo bene l'influenza che hanno sullo sviluppo del fanciullo i primi contatti con gli adulti.

Il metodo sperimentale deve dunque essere sostituito da metodi meno esatti. Naturalmente il metodo statistico offre una seconda alternativa. La frequenza con la quale s'incontrano certi tipi di personalità neurotiche criminali e normali in gruppi culturali diversi, può indicare quanto sia mutevole l'influsso della cultura sulla personalità. Se le neurosi coatte si trovassero più frequentemente tra i mercanti, gli industriali e gli intellettuali che non tra i contadini; più sovente in Inghilterra e in Germania che in Italia o in Francia; o più spesso nel XIX che nel XV secolo in Europa; o se l'isteria fosse più frequente tra i contadini cattolici e più comune durante il Medioevo che nel XX secolo; allora potrebbero trarsi conclusioni importanti circa la influenza delle diverse civiltà sullo sviluppo mentale. Simili studi comparativi dovrebbero esser fatti esaminando in sezione la nostra attuale civiltà, studiando la frequenza di certe neurosi e di certe tipiche personalità in differenti gruppi culturali, e confrontando la frequenza di certi atteggiamenti e di certe neurosi in differenti epoche storiche. Il metodopiù attendibile è il confronto tra le storie cliniche psicoanalitiche di individui appartenenti a civiltà diverse. Il vantaggio che questo metodo ha su tutti gli altri, è che soltanto studi clinici di questo genere ci danno una prospettiva abbastanza dettagliata ed attendibile della reale struttura culturale della personalità umana, quale si sviluppa sotto certi influssi culturali è familiari specifici.

Sebbene non possediamo ancora tali studi analitici comparativi di persone appartenenti a culture diverse, antropologi allenati all'esame analitico hanno fatto delle osservazioni interessanti circa quanto riguarda le influenze familiari culturalmente determinate sulla formazione della personalità (Benedict, Kardiner, Linton, Mead). Kardiner parla di una caratteristica basilare della personalità per ciascuna cultura, e cerca di dimostrare le determinanti culturali, le quali consistono in certe istituzioni, derivate a loro volta dalla struttura della intera società.

In uno studio classico, Ruth Benedict tenta di spiegare la struttura tipica della personalità del giapponese mediante le tipiche esperienze infantili della famiglia. Essa era stata molto colpita dal senso di dovere, di riconoscenza e di reverenza filiale, caratteristico del giapponese. Mentre i genitori americani vivono per i loro figli, i figli giapponesi vivono per i genitori. La loro esistenza è dedicata a ripagare un debito contratto verso i genitori e verso gli antenati. Il dovere filiale consiste in una rigida obbedienza e in un continuo, conseguente sforzo per preservare la purità del nome della famiglia. Ciò va di pari passo con l'accettazione indiscutibile della gerarchia, sia nella famiglia che nella società.

Un altro aspetto importante della personalità giapponese è l'assoluta mancanza di spontaneità nelle azioni e nei sentimenti. Tutta la vita del giapponese è stata accuratamente predisposta. È rigidamente prescritto come egli debba comportarsi in ogni possibile occasione. A un osservatore estraneo, la vita di un giapponese appare come una sequenza di azioni rituali che egli esegue con precisione automatica. Egli riesce a farlo, esercitandosi nel comportarsi correttamente, proprio come si esercita in certe abilità particolari, quali la scherma e la lotta o il giardinaggio, sino ad acquistare una tecnica perfetta e automatica.

Una terza caratteristica difficilissima a comprendersi, è che a onta della disciplina severa, della reverenza filiale, dell'obbedienza, e dell'accettazione di una organizzazione gerarchica nella quale il posto di ciascuno è accuratamente fissato, nella personalità giapponese esiste una tendenza paradossale alla spontaneità che le dà un aspetto misterioso, contraddittorio, imprevedibile.

Mentre l'autodisciplina, la sottomissione a un sistema gerarchico, e un estremo rispetto dell'opinione pubblica sono gli aspetti più caratteristici di questa personalità, vi sono di quando in quando manifestazioni di indomita ira e di ribellione; e anche una congrua compiacenza verso i piaceri della tavola e del sesso; e infine un altissimo interesse per le attività artistiche.

Ruth Benedict spiega queste contraddizioni mediante i princìpi giapponesi circa l'allevamento dei bambini. La famiglia è organizzata gerarchicamente e di solito comprende tre generazioni, che vivono insieme nella stessa casa. Le figure più importanti sono i maschi della prima generazione; al secondo posto viene il padre. Dalla prima infanzia il bambino vede l'assoluta obbedienza del padre al nonno, e impara a sentire nello stesso modo verso suo padre. L'autorità paterna è talmente fuori discussione che non occorre, per affermarla, nessuna forma di coercizione: essa viene istillata nel fanciullo in maniera così solida, che un'espressione del viso, un lampo degli occhi basta per ottenere una assoluta obbedienza da parte del bambino. Questa severa disciplina, però, non viene imposta al bambino sin dall'inizio della sua esistenza. Nei primi cinque o sei anni, il bimbo viene immensamente vezzeggiato dalla madre, il che appare in certe prime abitudini alimentari, che sono proprio l'opposto del sistema americano di puntualità nei pasti. Il seno materno è sempre a disposizione del bimbo giapponese, il quale spesso continua a prendere il latte anche dopo la nascita di un secondo figlio, sino a due o tre anni. Questa indulgenza orale è reciproca, perché la madre giapponese non considera un dovere allattare.il figlio, ma un acuto piacere fisico. Il bimbo apprende presto l'igiene e le cure da prestare al proprio corpo, ma senza una drastica disciplina; né gli vengono rimproverate le prime manifestazioni di interessi sessuali. Il giuoco sessuale tra bambini non è affatto proibito, e nemmeno la masturbazione infantile.

Questi due periodi successivi nella vita del fanciullo giapponese spiegano in maniera convincente la natura contraddittoria della personalità giapponese. A un primo periodo di quasi completa libertà, nel quale le soddisfazioni dei sensi non vengono proibite, segue un'estrema regolamentazione della vita. La disciplina che segue un'eccessiva libertà deve essere doppiamente severa per essere efficace. Il giapponese acquisisce questa estrema autodisciplina, e riesce a salvaguardare il proprio equilibrio mentale solo concedendosi degli sfoghi in certi settori della sua esistenza.

La Benedict indica solo vagamente come e perché si sono sviluppate queste caratteristiche familiari, e quali ne siano l'origine e il significato. Senza alcun dubbio, però, tale tipo di organizzazione familiare è il riflesso di un sistema gerarchico feudale, esistito inalterato in Giappone da parecchi secoli, sino alla rivoluzione del 1868. Anche dopo la rivoluzione dei Meiji, gli storici hanno osservato che il sistema feudale non era stato distrutto, ma trasformato con lievi modificazioni nel moderno Giappone industrializzato.

L'industrializzazione, là come in Germania, non fu seguita dalla democratizzazione. La storia del Giappone può essere considerata come una graduale coalescenza di unità feudali minori in unità più grandi. Infine, tutte le sudditanze particolari ai signorotti locali, si fusero in una fedeltà unica all'imperatore. L'etica della famiglia giapponese riflette chiaramente la lealtà del dipendente verso il signore feudale. Naturalmente una cieca obbedienza e un senso esagerato dell'onore, uniti alle virtù marziali, sono al centro di ogni società guerriera feudale, in cui micidiali lotte intestine sono il contenuto della vita nazionale. Il codice di onore giapponese somiglia moltissimo a quello cavalleresco dei cavalieri spagnuoli e dei tedeschi Ehre. L'atmosfera emotiva della famiglia giapponese non potrebbe essere stata più efficace nel dare ai feudatari sudditi leali. L'indulgenza in uso nella prima educazione del bambino giapponese, si rivela in seguito uno degli elementi più positivi nel renderlo capace di tollerare ogni sorta di esagerate restrizioni sociali; gli dà modo di trovarsi degli sfoghi emotivi personali, e lo lascia libero di soddisfare i più intensi bisogni istintivi. Attraverso questi squarci di libertà, il giapponese si conquista un equilibrio che gli permette di vivere una esistenza sociale sotto una ferrea disciplina.

Da tutto ciò appare ovvio che la formazione della personalità giapponese potrebbe essere grandemente mutata se venisse ad alterarsi l'intera struttura della società.

Similmente istruttiva è l'analisi di Margaret Mead 1 sul carattere americano, che essa dimostra essere il risultato degli influssi familiari. Per molti aspetti il carattere americano offre un contrasto diretto con quello giapponese. Nulla è più caratteristico, nell'americano, della sua assoluta mancanza di formalismo e di coerenti modelli di comportamento: e, di conseguenza, la sua notevole capacità di adattamento e la sua completa negazione di ogni gerarchia sociale. Mentre la virtù consiste per il giapponese nella osservanza meticolosa di norme prescritte per ogni singola circostanza, la suprema virtù, per un americano, consiste nella conquista individuale. Mentre il giapponese per tutta la vita si sente impegnato a mostrarsi fedele e riconoscente, l'americano mette in rilievo il fatto che egli non deve nulla a nessuno, se non a se stesso. La reverenza filiale e l'obbedienza del giapponese sono in acuto contrasto con lo scarso rispetto che ha l'americano per la generazione più anziana, per i modi tradizionali di agire e di pensare. Il giapponese prova un senso di sicurezza nell'apprendere e nel seguire un codice tradizionale; la sicurezza dell'americano si basa su quel che egli stesso conquista entrando in lizza con gli altri.

Mentre l'autorispetto del giapponese dipende dalla sua maggiore o minore capacità di aderire al codice che gli prescrive di rispettare i suoi predecessori, il rispetto di sé dell'americano si fonda sulla sua abilità nel superare le conquiste fatte dagli anziani. E per rendere il contrasto anche più sensibile, con tutta la fiducia che ha in se stesso e l'assenza di restrizioni portata dalle norme e dagli usi, l'americano si controlla molto più che non il giapponese. In Giappone le relazioni extraconiugali sono ammesse apertamente; negli Stati Uniti sono proibite dalla legge, disapprovate dalla pubblica opinione, e tollerate solo di straforo. Sebbene il giapponese possa sfogare liberamente i propri istinti biologici, la sua condotta sociale è priva di spontaneità ed è rigidamente regolata. L'americano offre esattamente il quadro psicodinamico opposto: i suoi istinti basilari sono altamente regolati nelle loro manifestazioni; potere inventivo e spontaneità debbono cercare il loro sfogo nel lavoro e nelle attività sociali, che sono sciolte da ogni vincolo e concedono avventure e soddisfazioni personali.

Esaminiamo adesso in qual modo possono spiegarsi queste caratteristiche, basandoci sulla struttura e sui costumi della famiglia americana. Come la Benedict fa notare, la differenza che più colpisce tra il modo di allevare il bambino americano e quello giapponese, è il fatto che nel bambino americano sin dalla primissima età le funzioni vegetative vengono regolate con estrema precisione. Le norme per il nutrimento e per l'igiene personale cominciano a essere impartite presto, e non si tiene nessun conto delle proteste del bambino. Tuttavia, a poco a poco, e sempre di più, si concede al fanciullo una certa libertà; mentre nella famiglia giapponese la libertà viene a mano a mano tolta al bambino che cresce. Il fanciullo americano diventa il centro della vita familiare e può manifestare i propri impulsi aggressivi, liberamente. Europei invitati a pranzo in case americane, spesso rimangono esterefatti nel vedere come si permetta al bambino di correre intorno alla tavola, molestando i genitori e gli ospiti. Molto presto, però, viene messo in palio un premio per chi è più bravo e buono. Come nota la Mead, l'amore della madre americana è condizionato: esso dipende dalla capacità del figlio di essere all'altezza degli altri bambini. A scuola, voti buoni e vittorie sportive sono le condizioni necessarie perché gli altri e — ciò che è ben più importante — la madre, lo approvino. La competizione e il successo sono le forze motrici fondamentali della personalità americana: amore e sicurezza dipendono dal riuscire a vincere la corsa.

Nella cultura americana è particolarmente significativa la mancanza di una rigida stratificazione sociale. L'americano vive in una società fluida che si trasforma di generazione in generazione. Ciò è maggiormente visibile nelle famiglie di immigrati. Il padre è in una posizione delicata, giacché non è del tutto padrone della lingua e dei costumi della nuova cultura. I figli e i nipoti debbono imparare modi di vita diversi da quelli suoi e di sua moglie. Questi figli non possono avere nessun rispetto per la tradizione: essi non la sentono affatto. Il figlio della «seconda generazione» deve scoprire tutto da sé; i genitori possono aiutarlo poco o addirittura nulla affatto. Egli apprende dai suoi maestri e dagli altri bambini. Poiché l'immigrazione sino a poco tempo fa ha rappresentato un aspetto costante della vita americana, non è facile esagerare il suo influsso sul carattere americano. Il paese fu fondato come una protesta contro il vecchio mondo, e tale protesta rimase un aspetto caratteristico del Nuovo Mondo. Molti altri tratti della personalità americana possono trovare la loro spiegazione in fenomeni sociologici.

Il carattere americano mostra delle interessanti contraddizioni. Pur dando la più grande importanza al successo individuale, esiste una tendenza cospicua all'uniformità. Certi aspetti esteriori della vita — quali il modo di vestire e l'arredamento della casa — sono standardizzati, e diventano così una fonte di sicurezza in un paese dove mancano norme severe, sanzionate dalla tradizione. Una continua lotta per il primato in una società fluida dove la situazione personale di un individuo non si fissa mai, crea un grande senso di incertezza. Da ciò nasce, di conseguenza, un costante impulso verso ulteriori conquiste e successi. Nello stesso tempo, la competizione isola gli individui, e crea così un desiderio opposto: quello di « appartenere» a qualche cosa o a qualcuno. Tale necessità si esprime in quello che possiamo chiamare il «fraternalismo» americano; nelle numerose associazioni, nei club, nelle confraternite, che pullulano, quali reazioni contro l'effetto estraniante di una vita sociale estremamente competitiva. L'abitudine americana di frequentare associazioni professionali o di mestiere ha lo stesso fondamento. Rivali in affari e nella professione, in queste riunioni s'incontrano al bar, come amici, si offrono reciprocamente sigari e bibite, o s'invitano a pranzo. In tal modo l'individuo separato, isolato da tutti a causa del suo desiderio di cimentarsi con gli altri e di vincerli, ritrova la strada verso una comunità.

Questi esempi possono bastare a dimostrare che i tratti caratteristici della personalità di una nazione si formano nella famiglia, e che in ultima analisi la stessa mentalità familiare è determinata dalla totale configurazione sociale di una data cultura.

II. INFLUENZE CULTURALI GENERALI

Nondimeno, queste variazioni non dovrebbero oscurare l'influenza delle istituzioni sociali che esistono in ogni forma di cultura, come ad esempio certe leggi sul matrimonio. Sebbene esse fossero state descritte molto tempo prima da vari antropologi, Freud fu il primo a comprendere il significato. Nel suo lavoro di avanguardia Totem e tabù, egli spiegò l'ubiquità delle leggi che vietano l'incesto, e mostrò in quale rapporto siano i riti totemi stici che si ritrovano in tutte le culture primitive, sia pure con notevoli varianti. Egli affermò che il totem — di solito — è un animale sacro, ma talvolta può essere anche un oggetto inanimato: comunque, è sempre un simbolo del padre, e i riti sono intesi a proteggere il totem dall'aggressione dei maschi appartenenti a quel gruppo sociale. I due tabù fondamentali nelle società primitive, sono: non avere rapporti sessuali con una donna dello stesso gruppo totem; non uccidere l'animale totem.

Questi due principi si armonizzano con il contenuto del complesso di Edipo e ne sono l'espressione. Da ciò Freud concluse che il nucleo di ogni organizzazione sociale rappresenta una difesa contro le tendenze edipiche. L'unità della famiglia può venire conservata unicamente se l'interesse sessuale dei figli può essere distolto dai membri femminili della famiglia stessa, perché soltanto così può scongiurarsi la rivalità tra padre e figli. Questa misura mantiene l'integrità della famiglia, e nel medesimo tempo il matrimonio esogamico riunisce insieme famiglie appartenenti a gruppi diversi. Secondo tale teoria, la famiglia è la cellula della società. Le famiglie, mediante l'esogamia, si riuniscono in clan, che poi diventano tribù, e infine nazioni.

Freud drammatizzò questo quadro con la sua teoria dell'orda primitiva, la quale rappresenta la primissima associazione umana. Vi è un padre violento e geloso che tiene per sé tutte le femmine e si disfa dei figli non appena essi sono divenuti grandi. Un giorno i fratelli cacciati uniscono le loro forze, uccidono e mangiano il padre, e mettono così fine all'orda paterna.

La festa del totem è la commemorazione di questa vittoria delittuosa sul padre. La reazione a questo primissimo crimine è l'inizio della civiltà. «I figli odiavano il padre che attraversava in modo così potente la strada alle loro istanze sessuali e al loro desiderio di dominio; ma, pure, lo amavano e lo ammiravano». Dopo essersene liberati, sorgeva in loro il sentimento della colpevolezza, e il desiderio di un capo potente. «Adesso il morto è diventato potente più di quanto non fosse stato da vivo». I due tabù basilari ebbero origine da questo conflitto. I figli «disfecero quel che avevano fatto, dichiarando che non era consentito uccidere il totem (sostituto del padre), e rinunciarono al frutto del loro operato, negandosi il godimento delle donne liberate». Freud spiega il fatto che nel totemismo il padre viene rappresentato da un simbolo protetto dalla legge, mentre il tabù sull'incesto è espresso apertamente, affermando che gli impulsi parricidi sono repressi più profondamente. Essi debbono sparire dalla coscienza, e non può tollerarsene alcuna chiara traccia. Nei riti totemistici, quindi, non viene menzionato nemmeno il padre, ma soltanto il suo rappresentante simbolico: il totem.

Questa ingegnosa teoria delle origini della civiltà — e specie la ipotetica orda primitiva dei fratelli — è stata ripetutamente messa in dubbio, ma la validità fondamentale del concetto freudiano non è stata mai del tutto infirmata. Il suo cardine è che l'organizzazione sociale è possibile soltanto se il nucleo primitivo — la famiglia — può essere protetto da istituzioni che regolino i rapporti tra i suoi vari membri. La forza più distruttiva in seno alla famiglia, è la gelosia sessuale dei maschi. La dipendenza prolungata del bambino dalla madre, esige una qualunque forma di costituzione famigliare, e la famiglia può sopravvivere solo se protetta dalle gelosie naturali e dalle aggressioni reciproche dei suoi membri. Il complesso di Edipo, dunque, riflette le istituzioni sociali fondamentali mediante le quali si conserva l'integrità della famiglia; e deve essere considerato come il nucleo dell'addomesticamento umano. .